lunedì 16 febbraio 2009

Sensori 1: Cuore e batticuore

Virtuale e digitale sono le due rime che regolano oggi la poesia delle nostre vite. Abbiamo così una realtà virtuale, una televisione digitale, i telefoni digitali, l’impianto Hi-Fi digitale, i riproduttori mp3 di musica digitale. La "Grande 'D'” di conseguenza domina e precede oggi anche gli oggetti di culto di noi fotografi. Ecco quindi che, mentre solo alcuni anni fa scattavamo foto utilizzando la SLR (la reflex) oggi fotografiamo con la DSLR (leggi reflex digitale).
Tutto bene, qualche vantaggio alla fine c'è, anche considerando che sono pochi quanti non abbiano ancora fatto il “grande salto”. Solo alcuni anni addietro, finite le 24 o 36 pose, estraevamo il rullino, lo riponevamo nella tasca del cappotto e correvamo a quel laboratorio all’angolo perché era il fotografo “di fiducia”. Aspettavamo quindi una settimana, rosicchiandoci le unghie per l’impazienza e telefonando ogni giorno finché non giungeva quella voce amica che ci rassicurava:
- “E’ arrivato” - Ogni scusa allora era buona per sospendere all'istante qualsiasi cosa si stesse facendo per correre, col cuore in gola, a vedere le nuove foto.
Importanti riunioni d’affari sono state bruscamente interrotte per questo motivo; fusioni di società sono fallite perché le stampe sono arrivate nel momento della firma; madri disperate che cercano figli dimenticati a scuola dai padri per recarsi dal fotografo, grandi amicizie sono finite drammaticamente per una battuta su un orizzonte un po’ storto.
Per fortuna oggi non è più così: un’occhiata al display di cui sono oramai dotate tutte le macchine digitali ci rassicura su alcuni aspetti macroscopici (attenzione: torneremo sul display in una prossima discussione). I più “dotti”, in possesso di computer e programmi dedicati, si scaricano subito le foto su disco rigido per una confortevole visione a schermo. Gli altri possono sempre estrarre la “memory card”, recarsi al più vicino supermercato e, tra la spesa della pasta e quella della frutta, osservare i propri figli su un comodo schermo, ordinare le stampe e ritirarle dopo aver scelto la verdura. Comodo, no?
Ma ecco l’argomento e la sfida di oggi: quanti di noi sanno, almeno approssimativamente, in cosa è consistita la rivoluzione del digitale nelle macchine fotografiche?
Per chi nasce fotografo nel “nuovo mondo” del digitale, come ad esempio mio figlio di 11 anni, questa domanda non ha lo stesso significato e le medesime implicazioni che ha per quanti hanno avuto esperienze precedenti con apparecchi a pellicola. Sono profondamente convinto dell’importanza che una conoscenza di tali differenze sia di grande importanza per evitare frustrazioni e delusioni.
Non solo, una maggiore consapevolezza del “cuore” che batte all’interno del nostro oggetto del desiderio può orientare quanti desiderano acquistare un apparecchio digitale a difendersi dalle Sibille che promettono prestazioni oltre l’immaginabile pur di realizzare una vendita.
Ma andiamo con ordine: ai “vecchi tempi” la macchina fotografica era una mini camera oscura, in cui la luce che filtrava attraverso un buchino nell’obiettivo (diaframma) andava ad illuminare per un certo tempo uno strato di pellicola sensibile alla luce. Più' tempo rimaneva aperto più' luce entrava, più' si apriva il diaframma più' luce entrava e viceversa. L'energia luminosa, sotto forma di quanti di energia detti fotoni [vedi:
fotoni], anneriva la pellicola: più' luce, più' la pellicola si scuriva. Naturalmente questo vale anche oggi, solo che la pellicola è stata sostituita da un “sensore digitale” che costituisce il vero cuore pulsante delle moderne digitali, mentre possiamo dire che il “cervello” è rappresentato dal processore d'immagine. E' solo la perfetta collaborazione tra i due che permette di ammirare le nostre belle immagini digitali.
A prescindere dalle varie sigle che ci tolgono il sonno.. CCD o CMOS? questo il dilemma... il sensore è una matrice di tanti mini circuiti elettronici come mostrato in figura, dove ogni quadratino rappresenta un fotodiodo [
vedi: fotodiodo]. Ormai abbiamo tutti acquisito familiarità con i LED, quelle piccole lucette che si accendono quando li colleghiamo ad una batteria. Un fotodiodo è una specie di led al contrario: quando viene illuminato da un fascio di luce genera una piccola corrente proporzionale all'intensità dell'illuminazione (esposizione). Tratteremo i sensori in una prossima sezione (si veda: Pasticcini e pixel). Questa settimana vorrei concentrarmi sulle differenze tra pellicole e sensori, che si riassumono in quella parola scritta sopra: PROPORZIONALE.
Cerco di non addentrarmi troppo nei dettagli per non appesantire l'argomento della settimana. Quanti avessero piacere di approfondirne gli aspetti fisici e chimici, mi scrivano comunque tranquillamente che li tratteremo in sezioni dedicate.
Verso la fine dell'ottocento due scienziati appassionati di fotografia, F. Hurter e V.C. Driffield, mapparono in un grafico (vedi figura) la quantità di energia ed il corrispondente annerimento della pellicola. Per una maggiore leggibilità ho indicato come “Quantità di luce” quello che in realtà è un valore energetico, in genere il logaritmo dell'esposizione (EV) ed in ordinate il logaritmo dell'opacità. Anche qui, scrivetemi se volete approfondire.
Con variazioni di piccola entità ogni pellicola presenta un andamento tipico simile a quello riprodotto a fianco. La curva presenta un tratto rettilineo di proporzionalità tra la luce che colpisce la pellicola ed il corrispondente annerimento. Questa è la zona dei toni medi che ritroviamo su una fotografia. La proporzionalità si perde invece nelle zone del piede (ombre) e della spalla (luci) come si vede in figura. Cosa significa? Nel tratto rettilineo un aumento della luce (tempi più lunghi, diaframmi più aperti), es un raddoppio, produce un annerimento due volte più denso sulla pellicola. Arrivati in prossimità della spalla (zona delle alte luci) l'annerimento della pellicola non segue l'aumento della luce. Effetto speculare verso il piede (zona delle ombre). Questo si traduce in un'ampia “gamma dinamica”, ovvero nella facoltà della pellicola di registrare elevate differenze di luminosità tra le ombre scure e le luci forti. La pellicola si comporta quindi nei confronti della luce analogamente al nostro sistema di percezione visiva non lineare.
Vediamo invece come il comportamento di un sensore digitale sia sempre proporzionale (lineare), ad raddoppio della quantità di luce che lo colpisce, raddoppia l'annerimento del fotogramma.
Sovrapponendo infine le due curve caratteristiche possiamo vedere come, quando la pellicola continua a registrare aumenti di luce nella zona a destra (alte luci), il sensore si satura (clipping) impedendo di registrare ulteriori dettagli nelle luci. Questo è quello che succede quando ad esempio facciamo una foto al mare o in montagna con cielo sereno e, mentre il soggetto viene esposto correttamente (zona centrale della curva), il cielo appare tutto bianco anziché azzurro. Quella parte del fotogramma è “bruciata” ed i dettagli sono persi per sempre. Non sono più recuperabili neppure con i più sofisticati sistemi di post-produzione e ritocco.
Bene, è tutto per oggi, ma prima di lasciarvi ricordo i punti principali di quanto ci siamo detti:
1. Le pellicole hanno una risposta non lineare alle variazioni di luce simile alla percezione dell'occhio umano.
2. I sensori sono dei led al contrario che hanno invece una risposta lineare alle variazioni di luce su tutta la gamma di utilizzo.
3. La gamma dinamica (ombra-luce) dei sensori è inferiore a quella delle pellicole.
4. Occorre stare molto attenti quando si riprendono scene con forti variazioni di luminosità tra luci ed ombre.
5. Il rischio è quello di perdere per sempre dei dettagli.
6.Il clipping, o saturazione delle alte luci è molto più dannoso (perché più evidente e meno recuperabile) della perdita di dettaglio nelle ombre.

Scrivete gente, scrivete. Appunti, commenti, critiche. Tutto quello che volete (beh, quasi....)

Hasta luego.....
Max

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